Capitolo 59: La Forma delle Orme









Azzurro
Il pomeriggio è troppo azzurro
E lungo per me
Mi accorgo
Di non avere più risorse
Senza di te
E allora
Io quasi quasi prendo il treno
E vengo, vengo da te
Il treno dei desideri
Nei miei pensieri all’incontrario va”
Azzurro, Adriano Celentano, 1968

Ho sempre parlato di Fibrosi Cistica, della sua convivenza, del rapporto con gli altri. 

Non ho mai parlato però, di cosa voglia dire essere dall’altra parte, dal lato scomodo e impotente di chi cammina accanto a un caro che ha una malattia. 

Quando sei in una condizione di fragilità vivi in mezzo ad incertezza e timori, ma hai anche l’errata convinzione che tutto il resto ti sia in qualche modo dovuto, come se per una qualche legge non scritta sia immuni ad ogni altro dramma, malattia, sfortuna. Non è così.

Me ne sono accorta ad Aprile di quest’anno, mentre ero alle prese con la terapia endovena contro il micobatterio. Approcciare al termine “tumore” non è semplice, soprattutto perché se non lo conosci, il tabù sociale di questa parola ti porta sempre a paragonarlo ad una strada senza uscita, una caduta senza paracadute, una fine, non ad un percorso. Pensi alle ultime pagine piuttosto che leggere il titolo. 

Ma in realtà scopri che non è più così, che la ricerca non è andata avanti solo per la tua malattia, che c’è una strada che si può percorrere e ad illuminarla non ci sono solo luci deboli e sfarfallanti.

Vivere il proprio male lo trovo più semplice, forse perché nascendo senza vista impari a vedere il sole in ogni spiraglio di luce. Sapere che un altro tipo di male diverso dal tuo, si insinua e nasconde in una persona che ami, è spiazzante. Così devi imparare un’altra volta a vedere il sole, tracciare nuove costellazioni, ascoltare il tocco del vento.

Apprezzare la vita, così come ci viene data è complicato. Ho sempre detto che se non avessi la Fibrosi Cistica non sarei io, difficile ammetterlo al di fuori di me. Ma forse è vero che bisognerebbe smetterla di usare “il male”, “il problema”. È questo lessico che ci rende davvero malati, ci obbliga ad estrarre qualcosa da noi, qualcosa che non ci piace e non avevamo previsto. 

Ma in me, nella mia mamma, non c’è nulla di sbagliato, di corrotto, tutto ciò che siamo fa parte di noi e il nostro compito è stare meglio possibile per le nostre condizioni, percorrere nuove strade, cambiare la forma delle nostre impronte senza cancellarne la traccia. 

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