Capitolo 58: Uno zaino









Is this how it is?
Is this how it’s always been?
To exist in the face of suffering and death
And somehow still keep singing
Oh like Christ up on a cross
Who died for us? Who died for what?
Oh, don’t you wanna call it off?
But there’s nothing else that I know how to do
But to open up my arms and give it all to you”
Free, Florence and the Machine, 2022

Avete presente quando avete troppi pensieri, sentimenti, parole in testa? 

È come avere una stanza sempre più disordinata, dove all’interno ci sono sia oggetti da tenere, ma anche tanti da buttare, e fare ordine è sempre più faticoso che lasciate stare. Io mi sono sentita esattamente così.

Ora però sono seduta in questa stanza e piano piano vorrei mettere in ordine con voi.

Partirò dall’inizio, ovvero dalla terapia contro il micobatterio. 

Prima di iniziare questo percorso nuovo, presi la decisione di iniziare sedute più ravvicinate con la mia psicologa, per tenere a bada la mia angoscia, che cresceva sempre di più facendomi chiudere in un guscio oscuro nella mia mente. 

Grazie alla preparazione e alla terapia stessa che, nonostante il sacrificio e la stanchezza, non fu così terribile come prospettata, in poco mi rimisi in sesto. 

Le giornate erano scandite da 7 flebo: di cui la maggior parte dalla durata di 20/30 min. Non so dirvi il momento in cui ho accettato questa quotidianità, in cui meccanicamente mi alzavo e mi preparavo le flebo, non lo so. Sono situazioni che ti entrano subito dentro la pelle e già dal giorno due non ti ricordi quasi più la vita senza questa terapia, forse perché siamo abituati a mettere nello zaino la nostra libertà e lasciarlo per terra, non sapendo quando lo potremo riaprire. 

Questo non vuol dire che non ci sia quella sensazione di lutto, di dire ancora “ciao” alla nostra vita, sperando sia solo un “arrivederci”. Io caratterialmente reagisco al lutto impegnando più che posso la mente e le giornate. Con la flebo ho lavorato in smartworking, ho cucinato un sacco, sono uscita nei brevissimi tempi di pausa tra una flebo e l’altra, ma mi sono anche concessa di stare a letto tutto il giorno nelle giornate no. 

Devo dire che sono anche stata fortunata nella sfortuna: ho avuto sempre al mio fianco i miei genitori che mi aiutavano, mi facevano le flebo al mattino presto quando non riuscivo a muovere le mani, mi confortavano quando il mio entusiasmo aveva cedimenti. Ho avuto la possibilità di lavorare per tre mesi solo in smartworking, grazie al mio luogo di lavoro. 

Ringrazio anche me stessa per aver chiesto aiuto e per essere riuscita a trarre il meglio da questa esperienza, e ringrazio anche il mio corpo, che nonostante i farmaci pesanti e il micobatterio è stato il più robusto possibile, rimanendo in piedi e lottando con me. 

A causa di questa terapia ho rinunciato alla casa in cui abitavo e sono tornata dai miei genitori, ma nel mentre ne ho trovata un’altra, decisamente più bella, più spaziosa e definitiva. Penso fermamente che senza questa terapia non sarei qui nel mio studio a scrivere questo nuovo capitolo. Non sono credente, sono troppo cinica, ma credo che solo passando attraverso l’ombra si ritrova poi la luce, ed è ancora più luminosa. 

I momenti più duri mi viene da dire che siano stati quelli sul finale della terapia endovena e quelli dell’inizio della terapia di mantenimento per bocca. Perché possiamo essere resistenti e forti quanto vogliamo, ma proprio le ultime settimane mi è venuta una polmonite causa covid e ho dovuto fare all’interno della terapia un’altra per abbassare l’infiammazione.  

Mi ricordo la visita in cui ho visto tutti passi avanti della spirometria finire nel bidone e sono crollata, un pianto infinito con la mia dottoressa che cercava di risollevarmi e dirmi che era solo un incidente di percorso. Le mie lacrime non riuscivano a fermarsi e tutta la difficoltà sostenuta si è liberata, ma mi ha liberata, ha sciacquato le vene, i ventricoli, la spina dorsale, la corteccia, e quell’acqua sporca è uscita e non è più tornata. 

Ho passato momenti molto difficili da cui sto cercando di uscire: grazie alla mia psicologa, ai miei affetti, a me stessa.

Mi sono rimessa in forze, ho sistemato i sintomi causati dalle compresse, e piano piano sono andata all’armadio, ho ripreso lo zaino e ho ripreso la mia vita. 

Io spero che questa testimonianza possa essere di aiuto a chi ci sta passando o ci passerà, a chi sente solo il negativo come preparazione a questa esperienza, e contro il panico assurdo nel dire che sicuramente andrà male. 

Ogni esperienza sarà diversa, la mia è questa. Se posso però dare un consiglio: accettate di essere aiutati, sia fisicamente sia emotivamente, circondatevi di persone che vi vogliono bene,  concedetevi le giornate no e trovate attività che vi piacciono e che vi fanno sentire coccolati. 

Non c’è una valigia nell’armadio, ma solo uno zaino.

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