Capitolo 57: Puntini di sospensione









Mirror of my mind
Turnin’ the pages of my life
Walkin’ the path so many paced a million times
Drown out the voices in the air
Leavin’ the ones that never cared
Pickin’ the pieces up and building to the sky”
Bones, Imagine Dragons, 2022

È un periodo scomodo, stretto, fastidioso. Prude e pizzica come il collo di un maglione di lana sulla pelle nuda.

È stato tanto bello tanto un orribile incubo, e le nuvole grigie ogni tanto hanno solo rischiarato nuove tempeste.

Starò meglio, in tutti sensi. sia dentro che fuori, ma è difficile.

È difficile perché ancora una volta ho davanti un nemico che sembra troppo forte per le mie braccia flaccide, troppo alto come un muro invalicabile.

Sto scoprendo che non è così, ma faccio fatica.

Nel 2017 mi hanno spiegato durante un ricovero che bestia sia il micobatterio. Ovvero (detto in parole povere) un batterio non tubercolare ma della famiglia dei batteri che la causano.

Mi avevano anticipato una cura che prevedeva un anno e mezzo in ospedale, con flebo continue.

Mi aveva spaventato, molto. Ma per fortuna ai tempi non era attivo, quindi rimaneva silente nei miei polmoni.

Ecco, ora la mia spada di Damocle mi è caduta in testa e spoiler: è super attivo il mio inquilino.

Per fortuna in questi anni sono stati fatti passi avanti con la ricerca e potrò fare la

terapia a casa, composta da sei flebo al giorno per tre mesi e poi continuare da uno a due anni con terapia per bocca.

Ora le frasi si sprecano: “almeno puoi farla a casa”, “dai che è quasi risolutivo”, “dai poteva andare peggio”, “pensa fosse stato attivo ai tempi”. Verissimo, sono frasi che io per prima mi sono detta, ma non servono a nulla.

Ho passato momenti molto difficili da cui sto cercando di uscire: grazie alla mia psicologa, ai miei affetti, a me stessa.

Mi sto prendendo cura di me e forse il momento più terribile è passato.

L’urgenza di iniziare subito le pratiche della terapia è nata il 5 dicembre. Pochi giorni dopo una delle esperienze più belle della mia vita: ho iniziato la prima di tre lezioni all’accademia dove lavoro agli studenti del corso di web.

Ero felice, elettrizzata, la prima lezione era andata meglio del previsto, non mi ero impappinata, non avevo tossito, ci ero riuscita, ero arrivata a destinazione sudata ma felice. Avevo pianto durante il ritorno, perché avevo vinto e perché ero grata agli eventi che per una volta erano stati favorevoli.

La notte del cinque avevo molta tosse secca, continua che non si fermava. Ho cominciato a vomitare catarro finché ho sentito qualcosa strapparsi dentro di me ed è diventato sangue, sangue che non si voleva fermare e mi faceva soffocare. Dopo essere riuscita a mandare giù il farmaco per bloccare questa emottisi, lentamente il rubinetto scarlatto si è fermato, lasciando solo qualche traccia. Mi erano già capitate piccole emottisi, ma mai così lunghe e violente, da aver paura di morire, di soffocare. Non ho dormito, tremavo e ho tremato per tutta la notte. 

Il giorno dopo non parlavo a causa della voce rotta e spezzata, sono rimasta a letto per un giorno intero senza riuscire a muovermi. La mia dottoressa informata e allarmata voleva ricoverarmi.

“Vieni su e ti prepariamo un letto, se ne capita un’altra non arrivi alla mattina”.

In quel momento avrei sicuramente dovuto accettare e ascoltarla, ma le chiesi ventiquattro ore, per vedere se avessi avuto altre tracce di sangue, la pregai e la scongiurai, perché in quel momento rinunciare a ciò a cui tenevo di più era insopportabile.

Ho sempre rinunciato, mi sono sempre fermata, ho chiuso porte, fatto passi indietro, detto di sì subito e solo dopo prendermene atto e farmene una ragione, ma quel giorno non ci riuscivo, la mia testa era incandescente e bruciava di dolore, così per la prima volta in vita mia dissi di aspettare.

Per fortuna non so per quale strana ragione qualcosa ha fatto sì che la fortuna mi aiutasse ancora una volta. Ed è con lo slogan “non provateci a casa” che vi dico che con febbre, gocce all’assenzio per non tossire e tanta forza di volontà, ho portato a casa tutto il mio corso.

Parlando per 4 ore a giornata, alzandomi per aiutare se qualche studente aveva difficoltà, resistere 8 ore tra ufficio e lezione.

Non so se ho fatto bene o se sono stata imprudente e ho sbagliato, sinceramente non mi interessa. Perché si, ho trascinato ancora una volta il mio corpo dandogli calci e pugni per rimanere in piedi, ma questa volta non per sopravvivere, per vivere. Nonostante le mie condizioni è stato il momento dell’anno in cui mi sono sentita più viva, imbattibile, fiera e coraggiosa.

Al momento sto facendo pace con l’idea di fermarmi ancora, affrontare ancora una volta una terapia difficile, ma impaziente del futuro che è lì da aspettarmi, anche se fa paura, anche se per arrivarci dovrò valicare un’altra montagna. Quindi ora mi ricucio le ferite, per vivere il domani e raggiungere la mia prossima avventura.

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