“ …Lì, sui rami spioventi arrampicandosi ad appendere
le sue coroncine, un maligno ramoscello si spezzò,
e giù caddero i suoi fioriti trofei e lei stessa
nel piangente ruscello. Le sue vesti si allargarono
e come una sirena per un poco la tennero su,
e in quel mentre cantava passi di vecchie canzoni
come una inconsapevole della sua ora disperata,
o come una creatura nata e cresciuta
in quell’elemento.“
William Shakespeare, Amleto, atto IV, scena 7
Sento che brucia come cera bollente sulla pelle o prude come una puntura di zanzara, questa necessità impellente.
Giovedì mattina ho avuto una visita, ero ansiosa di sbaragliare tutto alla spirometria, perché è in progressivo miglioramento, perché sto facendo il tapis roulant e ho una buonissima resistenza, perché sono felice, perché si.
Sono calata del 5%, complice il fatto che qualche giorno prima ho sputato grumi di sangue, l’aumento minimo di catarro e il ciclo.
Nulla di preoccupante in realtà, ma ora devo aspettare l’esito degli esami per sapere se dovrò fare un nuovo ciclo di antibiotici o cambiare qualcosa nella mia terapia.
Ero un po’ frustrata all’inizio, poi mi sono rasserenata, pensando solamente “va beh ci può stare”.
L’ho anche proposto io direttamente alla mia dottoressa, anche in maniera preventiva se fosse il caso di fare un ciclo endovena. Forse perché in realtà quando va tutto bene, si è quasi sollevati quando ci sono imprevisti, ovviamente non ne sono sollevata, però non lo so, non sono abituata alla straordinarietà delle situazioni.
Tralasciando comunque come andrà, sono fiera del mio atteggiamento, del fatto che sia serena, non mi sento più affaticata: riesco comunque a correre le scale, farmi una passeggiata veloce per la mia città, a ridere senza tanti colpi di tosse, mangiare senza rimettere, a vivere.
Qualche mese fa, quando le mie condizioni erano in rapida discesa, avrei reagito in modo completamente diverso.
Mesi fa ero nel mio corpo di carta velina che non rispondeva più a nulla, scambiando violenza per amore e amore per invadenza. Come un gatto selvatico o un cavallo che non vuol essere domato, ho allontanato, zittito e ferito.
“Non ricordarmi che ti faccio soffrire” pensavo ad ogni domanda gentile, ad ogni mano tesa, ad ogni “ci sono”.
Mi sentivo su pattini senza freni in una discesa ripida e dal suolo incidentato. Mi sentivo rotta in mille pezzi ancor prima dello schianto, e tutti questi frammenti già intenti a distruggere tutto ciò che stava intorno a me.
Con i miei pezzi distruggevo, ora costruisco.
Dedico questo capitolo alla mia mamma, che è stata travolta dalle schegge e si è curata tutti i graffi, medicando i miei.