Capitolo 47: Un mucchio di panni









 Non si possono contare le lune che brillano sui suoi tetti, né i mille splendidi soli che si nascondono dietro i suoi muri”.
Mille splendidi soli, Khaled Hosseini, 2007.

In questi giorni frenetici vado a letto alle 21.30 e cado quasi in trans avvolta nel piumone.

Le sere in cui non sono poi così distrutta, mi capita di pensare a tutto quello che è successo nell’ultimo anno e ancora prima: ai ricoveri, i buchi, il dolore, i pianti, la fatica, la tosse, il vomito, le rinunce, la delusione, gli abbandoni. 

E so che tutto questo è passato, che ora sono felice come non sono mai stata, che sto bene e quella tosse asfissiante non c’è più, che non ho più persone sbagliate accanto, che sono libera di essere me stessa.

Ogni tanto però mi avvicino a questo armadio: apro un’anta, vedo una maglia, ne tiro la manica e con questa mi cadono addosso tutti gli altri vestiti ammassati dentro. Non mi fanno del male, sono solo vestiti ora, ma cadono, si disperdono e devo con fatica rimetterli tutti in ordine. Questo è ciò che faccio ogni volta con questi pensieri: li rimetto in ordine, ma mi cadono addosso comunque. 

Tutto ciò che ci accade, tutto ciò che era doloroso un tempo, può diventare un ammasso di panni, e seppur privi di lame e leggeri, rimangono. Possono cadere tutti insieme travolgendoci di tanto in tanto. 

Mi sta bene averli lì, come lapidi in ricordo di un lutto o lettere su carta ingiallita, e spero con tutto il mio cuore che presto tutti potranno avere panni stropicciati da rimettere a posto, e questa sofferenza serva solo ad apprezzare ancora di più il nostro futuro, accogliente come una poltrona vicino al camino.

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