Capitolo 44: Giorno 0 – Corpi elettrici









 La mia casa non vale niente
Il mio contratto non vale niente
Tanto vale provarci comunque
La mia chitarra non vale niente
La mia esperienza non vale niente
Tanto vale provarci comunque
Tanto vale provarci comunque”.
Comunque, Ministri, 2013.

In giallo, sulla mia lavagna appesa al muro ho ancora scritto: “Kaftrio – Giovedì 29 ore 11.30”.

Due giorni fa leggendo questa scritta avrei faticato ancora a realizzare, oggi mi investono talmente tante emozioni, parole, volti, risate, messaggi e lacrime, impossibili da ignorare.

È difficile quantificare le emozioni o provare a descriverle, si corre sempre il rischio di non riuscire a trasmettere alla perfezione questi intrecci, ma voglio provare, forse in modo un po’ impacciato.

Ho sempre avuto tanti sogni: piccoli, grandi, passeggeri o a lungo termine.

Ho fatto sempre mille progetti e ne ho realizzati meno della metà.

Ho avuto coraggio in situazioni apparentemente fuori dalla mia portata e mi sono tirata indietro in altre decisamente più sostenibili.

Mi sono sentita molto forte e poi estremamente fragile. 

E in tutto questo mi sono sempre chiesta come fossi in “classifica”, dove mi collocassi, se fossi degna di essere considerata una persona di valore o anche solo buona

Domandarsi che persona si è penso sia giusto ogni tanto, ma lo è ancora di più accettare di poter essere forti e fragili senza il bisogno di quantificare. 

Il fatto è che non c’è mai stata questa separazione netta tra cosa è più giusto o cosa è più buono, cosa è meglio o peggio o di valore maggiore. 

In tutte queste autoanalisi mi sono sentita piccola rispetto al resto, minuscola in uno spazio infinito. Ma ultimamente è diverso, sto cominciando a vedere il paesaggio con le sue giuste proporzioni, più favorevole.

Ieri mi sono sentita addirittura immensa mentre camminavo verso l’ambulatorio, il fiato era affannato ma ho comunque accelerato il passo.

È stato tutto veloce: test del sudore, visita, un altro test del sudore perché il primo si era invalidato e nel mentre sul tavolo, tre mesi di farmaco. I miei occhi si sono riempiti del giallo e azzurro delle confezioni di Trikafta.

“Come stai?”

“Adesso bene”.

Parole, spiegazioni e domande, tantissime domande, scadenze.

Il farmaco deve essere preceduto da un pasto grasso e ovviamente dal Creon per essere assimilato, il mio pasto è stato un bel pasticcino super calorico. 

Mi è stato spiegato come estrarre le pillole e le prime due del mattino sono state inghiottite.

Sono tre pillole in tutto, le prime due al mattino e la rimanente la sera. Bisogna essere precisi e seguire alla perfezione il protocollo, ma nulla di molto diverso dal resto dei farmaci che io o altri pazienti dobbiamo assumere ogni giorno da sempre.

Sono poi tornata a casa, consapevole che questo è solo l’inizio di un percorso ancora probabilmente burrascoso, ma incredibile

Ho sentito il calore di tantissime persone, che per me e per i miei genitori è il più bello della nostra vita.

Una giornata sognata per loro dal mio primo respiro, una giornata a cui forse ci stavamo rassegnando mesi fa, una giornata di grida silenziose, di corpi elettrici che gioiscono in un loop continuo. 

Ho ritrovato la sensazione di serenità dimenticate: io e mia nonna a mangiarci le arance intinte nello zucchero distese al sole della balconata, camminare con mia mamma sul bagnasciuga in tardo pomeriggio, fare un giro senza meta un sabato pomeriggio con mio papà. 

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