Capitolo 40: Per non Svanire









Non avrebbe saputo ipotizzare una maledizione peggiore che vivere nel presente facendo parlare di sé al passato”.
Accabadora, Michela Murgia, 2009.

Avevo voglia di scrivere questo capitolo, poi non ne avevo più, poi al solo pensiero mi angosciavo, ma alla fine se non scrivo? Svanisco.

La quarantena è stata la calma che precede la tempesta, e non ho riconosciuto l’odore di pioggia.

Mesi senza visite, mesi che mi hanno portata sul fondale, dove prendere aria sembra impossibile.

Mai avuto una capacità respiratoria così bassa, mai avuta così tanta tosse, vomitato così tanto e perso così tanto peso. 

Tosse che ha accompagnato ogni notte, entrando in ogni sogno e in ogni lacrima trattenuta.

Il periodo in cui viviamo non aiuta: le persone ti puntano gli occhi addosso, si allontanano ancora più del solito; un gestore di un ristorante mi ha anche chiesto se volessi spostarmi in un tavolo all’aperto (con più di 30 gradi), perché c’erano altri clienti che si spaventavano. 

Ed è stato l’apice del mio malessere, il punto dove si oscura tutto e dentro di me il cielo limpido è una leggenda metropolitana. 

Ho letto un libro recentemente: “Accabadora” in cui si parla con una cura e una dolcezza incredibile di eutanasia. Un personaggio si paragona ad un cavallo zoppo: inutile, triste, il cui unico desiderio è porre fine a ciò che rimane di una vita che non è nemmeno la metà di quella che aveva prima.

E mentre le mie notti vengono spezzate, mentre sonni altrui vengono interrotti, mentre tossisco dentro un negozio, mentre ingurgito antidolorifici per i polmoni che fanno male, io, a quel cavallo zoppo ci penso. 

Ho pensato di non uscire più, chiudermi in camera mia, dove nessuno può spaventarsi o venir disturbato, dove sono un cavallo zoppo sì, ma nessuno lo sa.

Non volevo scrivere tutto ciò, quindi semplicemente non l’ho fatto.

La Fibrosi Cistica è non riuscire ad aprire una porta aperta di fronte a te, perché più ti ci avvicini, più si allontana e finisci con il non vederla quasi più. 

E mi butto ad occhi chiusi affidandomi ad una fede tutta personale, che di religioso ha ben poco,  perché io voglio più di questo.

E alla mia dottoressa l’ho detto che non voglio navigare in una finta stabilità respiratoria, io voglio migliorare, voglio avere una vita che è degna di essere vissuta. 

Voglio crescere, invecchiare, sbagliare, prendermela comoda, correre un sacco di rampe di scale, poter decidere se avere o meno dei figli, ridere, piangere, stare in silenzio, urlare, viaggiare, stare in casa, e anche morire, ma non adesso. E tutto quello a cui riesco a pensare in momenti sanguinanti è: ti prego non adesso, e nemmeno tra poco

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