Capitolo 38: Pioggia









Perché ogni giorno questo cuore si spezza
Ma prima o poi ritornerà una carezza
Ed io sopporto tutto quanto per quello
Perché non conosco niente di più bello
E spero sempre tu ne valga la pena
Perché ogni giorno mi colpisce la schiena
Dico che mollo ma non mollo mai”.
Mai, Scarda, 2018.

Stasera quando sono entrata in camera mia c’era un profumo avvolgente: di lenzuola fresche, aria primaverile, legno, lucidalabbra alla ciliegia, mandorle, casa.

Ho pensato che nonostante tutto mi sento protetta qui, con i miei pantaloni comodi e i capelli arruffati.

Mi sono seduta sul letto e ho pensato che alla fine c’ero riuscita ancora a risollevarmi, ho fatto un grande respiro che seppur mutilato sembrava contenere i respiri di una folla infinita.

Tutta questa serenità è esplosa ieri sera, mentre coccolata dal mio letto mi è tornata in mente una mattinata di questo Dicembre, durante il mio ricovero. Feci la broncoscopia e subito dopo tentarono di mettermi un picc, per due volte prima di rinunciarci.

Sono un tipo di persona che, sbagliando, cerca di gestire da sola i dolori più oscuri, le paure più rumorose. Ogni tanto, con pochissime persone, apro questo pozzo e mostro cosa contiene. Ci sono situazioni però, che non possono essere comprese a meno che non vengano vissute, e se ci sei dentro da sola qualcosa devi fare, anche se sei stanca, anche se non ci riesci. A mio parere il modo migliore per sentirsi meno soli è parlarne, scriverne, una confessione privata o pubblica che possa liberarci, o semplicemente farci sentire meno appesantiti.

Io quindi lo scrivo, voglio raccontarvi di quel giorno, perché anche se in situazioni diverse, i mostri si assomigliano tutti.


Dicembre 2019: Fuoco nel freezer

Mi brucia la gola a causa della broncoscopia e vorrei tossire, ma sono troppo stanca.

L’effetto del tranquillante si sta affievolendo, ma mi sento ancora intontita. Il chirurgo mi dice qualcosa, dico un rauco “si”, anzi forse due, o tre, non lo so. Firmo dei fogli, acconsento a tutto. Voglio andare a casa.

-Puoi stenderti- mi mettono l’ossigeno perché stendersi  a pancia in su dopo una broncoscopia non è il massimo.

Il mio cielo è tutto grigio ora, vedo solo il soffitto.

Anestesia locale sul mio braccio sinistro, cerco di guardare cosa sta succedendo tra i teli in cui sono sommersa.

Non vedo nulla, poco male, mi ricordo come funziona, non durerà molto.

Sento spingere più del dovuto, una scarica elettrica mi attraversa il braccio, arriva alle dita della mano  che con uno scatto si muovono da sole. Non sento più nulla, solo sbuffare prima di venir nuovamente bucata con un ago sottile prima, e con un ago molto più grosso dopo. 

-Non ci siamo riusciti, riproviamo un po’ più su, hai le vene troppo sottili-

Sono troppo stanca per rimanerci male, annuisco e basta.

La mente è confusa ma piatta, non c’è tempesta ma nemmeno sereno, non c’è carestia ma nemmeno l’ombra di una spiga di grano.

Chiudo gli occhi cercando contesti migliori, forse è un brutto sogno, forse non sono qui, non sono io, forse non sta succedendo a me, no non sta succedendo a me. 

Mi dissocio dal mio corpo, il braccio in cui stanno scavando per la seconda volta è solo un pezzo di carne, non è mio, me lo sono trovato attaccato al corpo una mattina. Nemmeno il corpo è mio, non odora più, è ruvido, non ne riconosco più la forma, è solo un ammasso di disinfettante ormai solido e duro.

Intorno a me è tutto squadrato, come se il mondo avesse dimenticato le pieghe morbide, gli angoli smussati. I rumori sono metallici, le voci le sento, ma sembrano lontane e irraggiungibili. Tutte le mie forze sono concentrate altrove, vicino ad una candela la cui fiamma affanna, rimpicciolisce, illumina solo uno spillo, e io sono qui, che non posso far altro che proteggerla facendomi scudo.

Più tardi sono sola, con il braccio sinistro impacchettato con diversi strati di garza.

I due fori profondi pulsano ed è come se il dolore scavasse nei muscoli, facendosi strada nella carne, mordendo e strappando.

Mi rannicchio sul fianco destro, chiudo gli occhi, forse penso che stringendoli fino allo sfinimento il dolore passerà, stupidamente dimentico l’esistenza di antidolorifici che potrebbero migliorare la situazione.

L’infermiera entra silenziosamente per un prelievo, buca la mano e si scusa con dolcezza “sulla mano fa un po’ male”.

-Ah non si preoccupi, mi fa così male questo braccio che non sentirò nulla-

Sorrido fingendo ironia e invece mi esce solo un’impacciata smorfia.

Accenna anche lei un sorriso forzato, mi accarezza con una cura infinita senza dire nulla, e quel piccolo gesto basta a farmi scendere una lacrima, solo una.

-Oh tesoro, se continua a farti molto male chiamami ti porto qualcosa-

Passo il resto del tempo a guardare la porta, con la testa vuota.

Non penso a chiedere quell’antidolorifico, non penso a dire a nessuno di come mi sento, non penso di voler fare l’eroina, penso solo di essere un lago completamente asciutto.


Angelica adesso, con i fori cicatrizzati, ti dico che anche nella tua più completa siccità troverai sempre la pioggia primaverile. 

Torna su