Capitolo 37: Un vestitino a fiori









Alle giornate al mare
A tutte le mie pare
Alle cucine che non abbiam potuto comprare
Alle mie guerre perse
Alle tue paci finte
A tutte le carezze
Che forse erano spinte
Giuro che un po’ mi fa ridere”.
Ridere, Pinguini Tattici Nucleari, 2020.

Durante questa quarantena pensavo avrei scritto molto di più, la realtà è che si, l’ho fatto, ma nulla degno di essere pubblicato.

Con questo blog vorrei sempre offrire nuovi stimoli per essere positivi, ma tutto è già stato detto, ripeterlo sarebbe solo banale e risulterebbe vuoto, privo di senso.

Sono una persona solare, mi reputo docile e accomodante, ma non sono di gomma e nemmeno di vetro.

Io e questa settimana ci siamo prese a calci e a pugni, dalla stanchezza oggi ho dormito tutto il pomeriggio, stremata.

La tosse è ritornata a squarciare il mio petto, ad affaticare i miei passi e a rovinare i miei pasti.

Ho dormito male, litigato con tutti e lavorato nel mio letto abbattuta e nervosa.

Non avevo voglia di fare nulla, nemmeno di mangiare perché mi è capitato più di una volta questa settimana, di rimetterlo.

Mi conosco talmente bene che sono convinta di riprendermi, di svegliarmi una mattina e dirmi: “Io ce la faccio, ce la faccio sempre”, perché in fin dei conti quando cado c’è sempre un mio abbraccio pronto ad evitare di ferirmi, quando tossisco e perdo il sonno c’è sempre la mia voce a sussurrarmi confortante “non sarà sempre così, vedrai”. 

Questa settimana uscire di casa non mi è mancato, questa quarantena non l’ho nemmeno sentita, perché ogni situazione crea nuove priorità, quella di questa settimana era respirare.

Chiedo perdono se in questo capitolo non ci sono spunti per passare il tempo o per sorridere, mi permetto di affrontare questo dolore senza affogarci dentro. 

Sono convinta che starò meglio, e sono altrettanto convinta che starò anche peggio, che avrò altri ricoveri e non so che altro, ma se dovessi farmi carico delle mie verità, delle mie paure, della situazione analizzata in modo freddo e oggettivo, su ciò che definisca universalmente una vita “valida” o meno, impazzirei, dandomi risposte vere a seconda del mio umore. 

La quarantena è simile alla Fibrosi Cistica: un corpo che sembra una casa e finestre che sono occhi colmi di opportunità. 

Quando ero piccola e non riuscivo a dormire mia nonna disperata si era inventata una storiella, lei che odiava inventarsi favole ne aveva costruita una tutta per me.

Parlava di due vestitini, uno rosso e uno a fiori, che stufi di stare a casa ed essere indossati dalla solita bambina scappavano e dopo mille peripezie riuscivano a tornare a casa. Quando mi perdo ripenso spesso a quei due vestitini, a quello a fiori precisamente, il più spavaldo, che finge di dimenticare quando invece la strada di casa la ricorda alla perfezione.

Ed io non vedo l’ora di tornare e ritrovarmi. Un po’ come quando incontravo la mia prozia e venivo avvolta dal profumo di vecchio sofà, di quelli di buona fattura, che odorano di chiacchiere e cioccolatini in carta dorata. Basta un attimo a ricordare tutto, chiudere gli occhi e dire: sono a casa.

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