Capitolo 35: Mostri di Stoffa









La nostra pena si riversò dall’una all’altra come acqua versata di tazza in tazza, e tutte le volte che raccontavo la mia storia ne perdevo un poco, una minuscola goccia di dolore”.
Amabili Resti, Alice Sebold, 2002.

Un anno fa ho pubblicato il mio blog, dopo mesi di analisi, ripensamenti e paure.

Esporsi non è mai stato nel mio carattere, ma era un pensiero fisso, una necessità che fingeva di essere un vezzo.

L’ho aperto per molte ragioni, ma principalmente perché ero stufa di tenermi tutti questi sentimenti ingombranti come l’oceano dentro di me, sono 48 chili capitemi, non potrei gestire tutta quell’acqua salata, la sono già troppo di mio.

Sono quasi le due ed è una nottata particolarmente complicata.

Sarà che è tutto amplificato,  come se ascoltassi me stessa con il volume al massimo. Scegliendo oltretutto la playlist peggiore di me.

Non so mai come confortarmi in notti come queste, perché non capisco quale sia il mostro sotto il letto. 

 Quindi sfondo tutti i miei argini con una quantità infinita di parole, domande a cui non so rispondere e mai saprò.

Non sono mai stata veramente capace di condividerla con qualcuno, questa buca profonda che mi è ormai familiare. Sarà che sono una persona positiva, ironica ed è come se, svelando questo lato di me, diventassi meno interessante. Non che mi importi di essere accettata dalla massa, ma dalle persone a cui tengo si, e ho il timore di rovinare tutto mostrando i luoghi sotterranei che inevitabilmente fanno parte del mio essere.

 Il giorno è pieno di soluzioni e nella notte non trovo nemmeno il mio cuscino.

Forse è una visione distorta che ci viene da sempre imposta: viene insegnato che mostrare le proprie fragilità, parlarne, fa di te una persona debole. Schedato e dimenticato.

Quindi agiamo di conseguenza, mostrando tutto questo gomitolo solo a noi stessi quando non possiamo essere intercettati da nessuno. Di notte ad esempio. 

Ed è un sistema che è fallimentare, un circuito che va interrotto. È il motivo per il quale la gente scappa ad ogni anomalia e “disabile” è un insulto più che una condizione.

Quindi anni fa mi sarei rigirata in continuazione nel letto, avrei raccontato a me stessa di quanto sia sola e quanto debba rincollare ogni volta i miei vetri rotti. Ma stanotte, con il mio piede destro addormentato e un pigiama troppo grande addosso, abbandonata non mi sento più. Condividiamo le nostre tazze scheggiate, i disegni venuti male, le mine spezzate, le note stonate. Inciampiamo, scottiamoci e impappiniamoci. Perché solo così i mostri diventeranno di stoffa e i nostri oceani semplici pozzanghere.

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