“In My Place, In My Place
Were lines that I couldn’t change
I was lost, oh yeah
I was lost, I was lost
Crossed lines I shouldn’t have crossed
I was lost, oh yeah”
In my place, Coldplay, 2002

Vorrei aprire questo capitolo avendo chiaro dentro di me cosa scrivere, ma mi rendo conto che non è il non sapere ma il riuscire che mi viene difficile, e forse è meglio così.
Forse non basterebbero tutte le parole del mondo per descrivere questo momento, in cui mi nascondo dal frammento tra un battito e l’altro, dalla riga d’ombra in una giornata di sole, dal silenzio impercettibile che separa due parole in un discorso.
Perché allora in quello spazio di nulla dovrei ascoltarmi, l’incessante voce nella mia testa che non interrompe mai il suo ronzio, una voce che ho imparato a conoscere come mia e di cui mi fido, da cui non posso nascondermi, che non crede più a drammi inesistenti, non sa mentire o proteggermi dietro a ragionamenti distruttivi senza senso.
La terapia ti insegna, tra le tante cose, a parlarti sinceramente, a essere la migliore consigliera per te stessa. Ammetto di aver cercato comunque di sfuggirgli a questo mormorio armonioso, almeno un pochino per darmi la possibilità di lasciar andare in modo stonato, fratturato, ho colorato volutamente un po’ fuori dai bordi per riappacificarmi con quella parte di me che mi aspettava per quando fossi stata pronta a darle ragione.
E lo sapevo già cosa fosse vero e cosa fosse falso, ma c’era una distinzione troppo netta tra ciò che sapevo e ciò che sentivo, dovevo prima essere illogica, scarabocchiare un foglio bianco e dopo ricominciare a scrivere su uno a righe.
È stato un anno difficilissimo, ma anche bellissimo devo ammetterlo, perché ho conosciuto parti di me che non credevo esistessero. Mi sono sentita coraggiosa, cattiva, compassionevole, esausta, ho avuto voglia di costruire e di distruggere, ho lasciato andare e ho trattenuto.
Ho accettato ogni parte di me, compresi i sentieri più oscuri che percorrono il mio corpo, ogni ritaglio che compone il mio organismo. Capirci e accettarci a volte è doloroso, non si tratta per forza di una consapevolezza che ci rende migliori o peggiori, però nonostante tutto in un anno in cui ho avuto paura di perdermi, mi sono ancora una volta ritrovata e forse, per la prima, completamente.
E nella confusione di ciò che sono, ho riconosciuto un ordine.