Capitolo 30: Immensità semplici









E faccio finta di essere convinta che l’Universo aspetti solo me
di tutto questo schifo della mia giovinezza
delle medicine posso fare senza
di tutto l’universo delle cose mai dette e dei polsi aperti
amore a me non me ne frega niente”.
Questa è la mia festa, Maria Antonietta, 2012.

Sono giorni che scrivo e cancello il file di questo capitolo, eppure ne ho tante di cose da raccontarvi, di cose belle intendo.  Sarà che la felicità è fuggevole, veloce, facile da dimenticare, viene presa spesso come un qualcosa di ordinario.

Quando sono giù di morale o triste mi rendo conto di ascoltarmi di più, il dolore diventa qualcosa di solido che prende forme differenti e che puoi quasi toccare se ci metti impegno.

Sono stata dimessa il 24 Dicembre, e più mi sforzo e meno riesco a scegliere combinazioni di parole adatte a spiegare la mia felicità durante il tragitto in macchina verso casa. 

Sono stata tre giorni al mare, in Liguria, e mentre seduta sulla spiaggia guardavo il mare la mia mente era leggera, grata, immensa. Come se si fosse raddoppiata per far entrare ancora più bellezza.

Sono stata con chi mi fa stare bene, oltre le medicine, oltre le terapie. Mi sono riposata, mi sono concessa l’ozio e la noia e ne avevo davvero bisogno.

Non sono quasi mai rimasta da sola, in ospedale ho fatto il pieno di me stessa sia nel bene che nel male

Ho imparato ancora una volta ad ascoltarmi senza esagerare, a gestirmi, a confortarmi, mi sono detta più volte che sarebbe andato tutto bene nonostante tutto, e così è stato.

Maria Antonietta canta: “La felicità è una cosa troppo seria”, e forse ha ragione, è talmente seria, complessa e profonda che è difficile capirla o parlarne senza usare parole banali.  

Quindi concluderò dicendo che io in questa complessità mi voglio immergere fino ai capelli, senza preoccuparmi di saperla descriverla o definirne i contorni.

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