Capitolo 29: Jeans stretti









Perché lì la vita non sembra mai dura
E invece qua in questa fottuta provincia
Ci vuole del coraggio anche per aver paura”.
Lake Washington Boulevard, Pinguini Tattici Nucleari, 2019.

L’ultima volta che sono entrata in ospedale come visitatrice era quando hanno operato mio nonno al femore, era uscito dalla sala operatoria quasi sorridente e mi aveva salutata. Non ci sono stata molte volte in ospedale in questa modalità, ma conosco la sensazione di disagio, la voglia di tornare a casa e l’odore di disinfettante che ti riempie le narici. Ti senti uno spettatore silenzioso  di una realtà che è subito stretta, come cercare di entrare in un paio di pantaloni bagnati e di tue taglie in meno rispetto alla tua.

Quindi quando in quel letto ti ci ritrovi tu, per l’ennesima volta, non stai cercando solo di infilarti quel piccolo paio di jeans, ma tutto l’armadio.

Il primo giorno, la prima notte, i primi buchi. La frustrazione che una volta uscita si tratterà solo di azzerare il timer, ma che ripartirà inevitabilmente subito dopo. Le mie vene sono piccole e sottili, non reggono tutti questi giorni di antibiotico. 

Il braccio sinistro blu perché il pic è troppo grande per le mie vene, ma alla fine un pic lo si trova, direttamente dalla pediatria ed è l’ultimo buco. Stringo gli occhi per l’ultima volta e mi accarezzo con tenerezza mentalmente, bacio tutto il dolore e quando riapro gli occhi è tutto finito.

E mi sento anche io piccola come le mie vene, in questo letto che è un lago profondo in cui devi stare attento a non affogare, nella solitudine e nel vento vorticoso dei pensieri che distruggono ogni cosa al loro passaggio, ricoprendo tutto di colla che puzza di candeggina. 

Ma poi di colpo, mentre respiri aria densa e appiccicosa come miele, trovi una mano e poi un’altra e poi un’altra ancora. Mamma, Papà, Alessandro, Davide, Micol, Chiara, Alessia.

Ho respirato riempiendo i miei polmoni che cominciano a ritrovarsi, ho cercato di racchiuderci dentro il profumo di casa, ho cucito i miei occhi per non lasciar scappare neanche uno sguardo, distrutto tutti gli orologi per fermare il tempo in ogni abbraccio, ogni bacio ed ogni carezza. Ho ripetuto come un’antica preghiera “mi manchi” e ho silenziosamente urlato di restare, perché l’atto più coraggioso che possiamo fare non è fuggire, ma rimanere.  

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